dal Diario Vaticano
Per la prima volta nella storia otto cardinali dei cinque continenti consiglieranno il papa “nel governo della Chiesa universale”. Ma non sono stati eletti. Li ha scelti papa Francesco e sarà lui solo a prendere le decisioni.
La sera stessa dell’elezione a papa di Jorge Mario Bergoglio il cardinale Camillo Ruini dichiarò al quotidiano “la Repubblica”: “C’è un problema strutturale, affrontato già dal Concilio Vaticano II, ma che non ha ancora trovato una soluzione soddisfacente e stabile: quello del rapporto tra il primato del papa e il collegio dei vescovi. Ho molta fiducia che Francesco saprà fare un significativo passo in avanti in questa direzione“.
“C’è poi il problema del rapporto della curia con il papa, e anche con i vescovi di tutto il mondo. Una cosa è chiara: la curia non può essere che uno strumento al servizio del papa, non un organismo in qualche modo autonomo e meno che meno un condizionamento per l’esercizio del ministero del successore di Pietro e per i suoi rapporti con l’episcopato“. A un mese preciso da quel 13 marzo, con rapidità fulminea, il nuovo papa ha cominciato a mettere in opera esattamente le due innovazioni prospettate all’atto della sua elezione da Ruini e da altri cardinali: “Il Santo Padre Francesco, riprendendo un suggerimento emerso nel corso delle congregazioni generali precedenti il conclave, ha costituito un gruppo di cardinali per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica ‘Pastor bonus’ sulla curia romana“. La notizia è di eccezionale rilevanza, eppure non è stata data con un solenne “motu proprio”, ma – con la sobrietà di forme che caratterizza l’attuale pontificato – con un semplice “comunicato della segreteria di Stato” emanato sabato 13 aprile. Anche l’aver definito semplicemente “gruppo” i consiglieri in porpora da lui nominati è un “understatement” tipico di papa Bergoglio.
Gli otto cardinali scelti personalmente da papa Francesco sono stati elencati seguendo rigorosamente l’ordine alfabetico. Essi sono:
- l’italiano Giuseppe Bertello, 71 anni, dal settembre 2011 presidente del governatorato dello Stato della Città del Vaticano, dopo una brillante carriera nella diplomazia vaticana culminata nella nomina a nunzio in Italia, voluta personalmente dal cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone all’inizio del suo mandato;
- il cileno Francisco Javier Errázuriz Ossa, 80 anni il prossimo settembre, arcivescovo di Santiago dal 1998 al 2010, presidente del CELAM, il consiglio episcopale latinoamericano, dal 2003 al luglio 2007, e in quest’ultima veste presidente della sua V assemblea generale celebrata ad Aparecida nel maggio 2007, dove l’allora cardinale Bergoglio coordinò il gruppo di lavoro che scrisse il documento finale;
- l’indiano Oswald Gracias, 69 anni, dal 2006 arcivescovo di Mumbai/Bombay, dal 2010 presidente della CBCI – la conferenza episcopale che raggruppa i vescovi indiani dei tre riti – e dal 2011 presidente della FABC, la federazione delle conferenze di vescovi dell’Asia, nonché membro eletto, nel 2012, della segreteria generale nel sinodo dei vescovi;
- il tedesco Reinhard Marx, 60 anni, dal 2007 arcivescovo di Monaco e Frisinga e dal 2012 presidente della commissione degli episcopati della comunità europea, entrato nelle cronache dopo il conclave per avere stigmatizzato le “smancerie di corte” presenti in alcune prassi della curia romana;
- il congolese Laurent Monsengwo Pasinya, 74 anni, dal 2007 arcivescovo di Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo; anche lui eletto membro della segreteria generale del sinodo nel 2012;
- lo statunitense Sean Patrick O’Malley, 69 anni, cappuccino, dal 2003 arcivescovo di Boston, noto per lo stile di vita austero e per aver risollevato le sorti di una diocesi devastata dallo scandalo degli abusi sessuali;
- l’australiano George Pell, 72 anni, dal 2001 arcivescovo di Sydney, altro membro eletto della segreteria generale del sinodo nel 2012;
- l’honduregno Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, 71 anni, salesiano, dal 1993 arcivescovo di Tegucigalpa, dal 1995 al 1999 presidente del CELAM e dal 2007 presidente della Caritas Internationalis (nella sui veste ha avuto alcuni contrasti con la curia romana).
A quest’ultimo è stata affidata la “funzione di coordinatore”. Mentre “con funzione di segretario” il gruppo degli otto cardinali sarà coadiuvato da monsignor Marcello Semeraro, 66 anni, dal 2004 vescovo di Albano e dal 2007 presidente del consiglio di amministrazione del quotidiano “Avvenire” di proprietà della conferenza episcopale italiana. “La prima riunione collettiva del gruppo – conclude la breve nota vaticana del 13 aprile – è stata fissata per i giorni 1-3 ottobre 2013. Sua Santità è tuttavia sin d’ora in contatto con i menzionati cardinali”. Come dire che la prima riunione formale ci sarà tra alcuni mesi, ma il “gruppo” è già operativo. Tutti i cardinali scelti sono ovviamente ben conosciuti e stimati da papa Francesco. Ma in modo particolare lo sono tre che hanno un particolare rilievo.
L’unico degli otto che risiede a Roma, Bertello, ha condiviso con l’attuale pontefice uno stretto rapporto con il defunto arcivescovo Ubaldo Calabresi, il nunzio in Argentina sotto il cui mandato Bergoglio divenne vescovo, dopo averlo avuto come capo missione nelle rappresentanze pontificie di Sudan e Venezuela all’inizio della propria carriera diplomatica. Il “coordinatore” del gruppo Rodríguez Maradiaga è stato tra i primissimi ad essere invitato a un pranzo a tu per tu dal neoeletto papa. Molto forte è anche la stima del pontefice per il “segretario” del gruppo Semeraro, una stima che risale al sinodo generale del 2001, nel quale l’allora cardinale Bergoglio fu relatore generale aggiunto e Semeraro, all’epoca vescovo di Oria, segretario speciale. Ha riservato a lui la prima udienza privata del suo pontificato di cui sia stata data comunicazione ufficiale, il 17 marzo, appena quattro giorni dopo l’elezione a papa. Con la sola eccezione dell’australiano Pell, considerato più conservatore, tutti gli altri cardinali sono ascrivibili al campo moderato o progressista del collegio cardinalizio.
Degli otto, lo stesso Pell, Rodríguez Maradiaga ed Errázuriz Ossa sono stati fatti cardinali da Giovanni Paolo II, gli altri cinque da Benedetto XVI. Il “gruppo” costituito da papa Francesco ha un duplice incarico. Il secondo è di studiare una riforma della curia. Ma il primo è ben più vasto e nuovo. È di “consigliare” il papa “nel governo della Chiesa universale”. Un mandato che non sembra avere precedenti nella storia. Negli anni passati, come anche nel corso dell’ultimo preconclave, c’era chi aveva auspicato la creazione di un “consiglio della corona” che affiancasse il papa a lato della curia e del sinodo.
In una intervista a “30 Giorni” del 2007 il cardinale belga Godfried Danneels, che ha partecipato da elettore agli ultimi due conclavi, si disse “convinto che raccogliere ogni tanto intorno al papa un piccolo consiglio di personalità della Chiesa provenienti da diversi paesi, i cui membri magari possono variare ogni due o tre anni, sarebbe per lui un aiuto, per essere sicuro di poter avvertire la temperatura della Chiesa”. E aggiunse: “La curia non può sentire e registrare tale temperatura, non è il suo compito. Certo, c’è già il sinodo dei vescovi, e il collegio dei cardinali. Ma quello che chiamo il ‘consiglio della corona’ potrebbe essere uno strumento più elastico, discrezionale, contingente, che certo non sta sopra il papa, ma è solo un organo di aiuto al suo servizio“. Ora, l’innovazione lanciata da papa Francesco sembra riprendere almeno in parte proprio questa idea di un “consiglio della corona”, anche se – e non c’è da sorprendersi – con una denominazione decisamente meno regale. Ciò detto, bisognerà vedere come si articolerà l’attività di questo nuovo “gruppo” di consiglieri, quali saranno i suoi rapporti effettivi con la curia e quale l’impatto concreto nel governo della Chiesa universale. Sembra chiaro comunque che l’iniziativa intrapresa da papa Bergoglio non ha nulla di democraticistico. È vero che gli otto consiglieri sono nella maggior parte anche titolari di incarichi elettivi nelle conferenze episcopali nazionali e continentali o al sinodo, ma non è stato questo il principale criterio di scelta. Molto di più è contato il rapporto personale col papa. E anche il loro potere sarà puramente consultivo, perché sarà alla fine il papa a prendere le decisioni.
Il secondo incarico affidato al “gruppo” degli otto cardinali – non nuovo ma pur sempre rilevante – è quello di “studiare un progetto di revisione” della costituzione apostolica “Pastor bonus “con cui Giovanni Paolo II nel 1988 ha riformato la struttura della curia romana alla luce del nuovo codice di diritto canonico del 1984. Quello che si profila, quindi, è il quarto intervento organico di riforma della curia romana nata, nel senso moderno del termine, nel 1588 con la costituzione “Immensa aeterni Dei” di Sisto V. Il quarto dopo:
- la “Sapienti consilio” di san Pio X del 1908, che servì ad adeguare le strutture della curia alla scomparsa dello Stato Pontificio intervenuta nel 1870;
- la “Regimini ecclesiae universae” promulgata da Paolo VI nel 1967 con l’intento di adeguare la curia a quanto stabilito dal Concilio Vaticano II, istituzionalizzando il ruolo predominante della segreteria di Stato sugli altri dicasteri;
- la “Pastor bonus” del 1988 che, al di là di alcuni aggiornamenti strutturali, ha confermato il ruolo guida della segreteria di Stato nel governo della curia.
La riforma di san Pio X, che venne eletto nel 1903, fu realizzata in un anno, tra il 1907 e il 1908. Quella di Paolo VI, annunciata da papa Giovanni Battista Montini subito dopo l’elezione nel 1963, ebbe bisogno di quattro anni di intenso lavoro di un’apposita commissione cardinalizia formata da tre porporati. Un’analoga commissione cardinalizia istituita da papa Karol Wojtyla nel 1985 e presieduta dal cardinale Sebastiano Baggio, impiegò infine tre anni per arrivare alla “Pastor bonus”. Degli otto porporati scelti da papa Francesco solo uno ha un incarico a Roma. È Bertello, che però ricopre il ruolo formalmente non curiale di presidente del governatorato dello Stato della Città del Vaticano. E solo un altro ha lavorato in precedenza in curia: Errázuriz Ossa, che fu segretario della congregazione per i religiosi nel quinquennio 1991-1996. Mentre solo due – Bertello e Gracias – hanno conseguito titoli di studio in diritto canonico, anche se non possono essere considerati dei canonisti veri e propri. Quella che si profila, quindi, è una équipe di riformatori della curia prevalentemente esterni alla curia stessa e senza specifiche competenze giuridiche. Tale scelta non appare casuale, ma voluta. Fermo restando che è prematuro individuare quali saranno i contenuti delle riforma della curia romana, si può comunque immaginare che saranno almeno tre i capitoli che verranno affrontati, e cioè:
- la significativa riduzione dei dicasteri curiali;
- un ruolo meno soffocante della curia romana nei confronti delle Chiese locali;
- il ritorno a una maggiore collegialità interna alla curia.
A proposito di quest’ultimo punto, va notato che papa Bergoglio ha già ripreso a ricevere in udienze fisse di tabella tutti i capi di dicastero. Fu Giovanni XXIII a far cadere in disuso questa pratica, affidando di fatto alla segreteria di Stato il ruolo di filtro tra i dicasteri e il papa. Ultimamente solo i prefetti della dottrina della fede e dei vescovi erano ricevuti in udienza a cadenza settimanale e, a ritmi più diradati, i prefetti di “Propaganda Fide” e delle Chiese orientali. Ma oltre a questo potrà esserci dell’altro, perché in questo campo – come già si è capito – papa Francesco non cesserà di stupire.
CITTÀ DEL VATICANO, 16 aprile 2013