C’è sempre qualcuno che ha bisogno di identificare, di incasellare, di definire. O, in questo caso, di indagare per rilasciare patentini di santità.
È un sacerdote, ma non frequenta il tempio.
È un profeta, ma non cerca le folle, anzi, fugge nel deserto.
È cercato e amato, ma sembra respingere, infastidito, quanti lo cercano con insistenza.
Giovanni l’evangelista, probabilmente suo discepolo, dice di lui che è un testimone.
Il testimone parla di qualcun altro, di qualcos’altro. Non di sé.
A noi, abituati a cercare visibilità e riconoscimento, incontrare uno che si identifica in funzione di un altro, mette i brividi. Noi che passiamo la vita a cercare titoli e riconoscimenti (scrivente in primis), incontrare uno che ragione per sottrazione manda in crisi.
Eppure Giovanni Battista è così.
Quando parla di sé, dice io non sono.
Perché se non siamo capaci di denudarci davanti a Dio, se non siamo capaci di semplificare il nostro pensiero e il nostro desiderio, e non cercare altrove la nostra identità, di non vivere appesi al giudizio e al riconoscimento altrui, non riusciremo a far nascere e rinascere Cristo in noi.
Non sono il Cristo.
Non si prende per Dio, ci mancherebbe. Lo idolatrano, come facciamo anche noi davanti a persone coinvolgenti, a uomini di Dio affascinanti e credibili. E Giovanni li allontana infastidito.
Per accogliere il re dobbiamo smetterla di crederci re.
Se vogliamo incontrare Dio, dobbiamo smetterla di essere dio di noi stessi. Piccoli narcisisti che si mettono sempre al centro.
O che si lamentano di non essere al centro. O che fanno le vittime per attirare l’attenzione ed essere messi al centro.
Allora cosa sei? Cominciamo a sottrarre.
A togliere i titoli, i riferimenti agli altri (figlio di, moglie di, parroco di…), a togliere i ruoli, il mestiere.
Togliamo per ritrovare l’essenza sotto la crosta.
A volte non lo facciamo perché siamo terrorizzati da ciò che potremmo eventualmente incontrare. Un noi impresentabile.
Spoglia, Giovanni. Toglie. Scarta.
È il più grande uomo mai esistito, dirà di lui Gesù, ma non gli importa.
È un cercatore di Dio radicale e coerente. Ma non gli interessa.
Ha radunato attorno a sé migliaia di penitenti. Dettagli.
È un grande profeta, come Israele non ne vedeva da secoli. Irrilevante.
Cosa sei? Voce, dice. Voce imprestata ad una Parola.
Perché vuole diventare un grande dito che indica la luce.
Ma è una voce che grida. Che non sussurra, che non blandisce o manipola. Una voce un po’ rude che scardina e a volte irrita le coscienze beate e beote. Le nostre. Così come devono fare tutti i profeti che se non mettono in discussione, profeti non sono, o hanno smesso di essere.
Una voce che grida quanto ha vissuto, chi ha incontrato, una voce che rilegge la Parola. Una voce dietro cui si svela la Parola. Così che, quando incontriamo un profeta, dopo qualche istante, se disarmiamo il nostro cuore, leggiamo sulle sue labbra ben altre Parole.
Misterioso Dio che ti nascondi dietro i nostri balbettii!
L’avvento scorre, Natale si avvicina.
Sarà banale, o orribile, o commovente, fate voi.
Sarà vero solo se abbiamo, oggi, il coraggio di toglierci le maschere.
Di smetterla di definirci per spogliarci, per andare o tornare all’essenziale.