Al centro della parabola Gesù pone il seme.
Seme che è la Parola rivelata dal Padre per bocca di Gesù.
Il messaggio è chiaro: il seme agisce da sé, a prescindere, è efficace al di là della bravura del seminatore o della qualità del terreno.
Se è sotto gli occhi di tutti che per tre quarti delle volte la semina è destinata a fallire, è altrettanto vero che una volta su quattro il risultato è stupefacente, ben al di là delle aspettative.
La parabola è un incoraggiamento, un invito alla fiducia, uno sguardo positivo sulla realtà.
Racconta la logica di un Dio che lascia liberi di accogliere e di ascoltare il suo messaggio.
La Parola viene gettata a piene mani. Poi, che accade?
Guarda il tuo cuore: prima accogli, poi annuncia.
Perché annunci solo ciò che accogli.
È Gesù stesso a parlarne e a spiegare le sue parole.
Il seme cade sulla strada, su un cuore indurito.
Gesù non entra nel dettaglio, constata che ci sono dei cuori apparentemente impermeabili a qualunque sollecitazione di fede, incapaci anche solo di lasciare che qualcosa scalfisca le loro incrollabili certezze. Sanno. Di Dio, della fede, dei cristiani. Sanno. Non hanno bisogno di nulla.
Su questi cuori il seme rimbalza. Poi viene Satana e lo porta via, come un corvo che cala sulle granaglie. Da brividi.
La Parola che cade sulla strada è destinata a sparire.
Un cuore indurito, pietrificato, asfaltato, è impermeabile.
Apparentemente è impossibile da cambiare.
Non per Dio, che semina anche sull’asfalto. Insiste.
Gesù continua: se il seme trova anche solo un briciolo di terra, germoglia. Ma ha bisogno di costanza, per crescere.
Subito accolgono la Parola: con entusiasmo.
Ce ne sono di persone così, adulti che riscoprono la fede grazie ad un viaggio, ad una giornata di ritiro, ad un’amica credente che li coinvolge.
Il primo cuore è indurito. Il secondo è incostante.
La fede diventa una parentesi della vita, anche felice, certo, ma una parentesi.
Gesù continua. Diversa è la situazione di chi ha costanza, di chi accoglie la Parola e la custodisce ma intorno a lui crescono altri interessi che si ingrandiscono e, alla fine, soffocano la Parola che rimane, ma non porta frutto. È presente, ma inutile.
Sopraggiungono le preoccupazioni del mondo, il pre-occuparsi, l’occuparsi prima, anzitempo, che ci soffoca, come una pianta infestante.
E anche la bramosia soffoca il seme, cioè il desiderio smodato, auto-referenziale, fuori controllo.
Dei soldi, della casa, del cibo, del sesso…
Ogni cosa rischia di diventare un idolo e di ingigantirsi fino a prendere il controllo di noi stessi.
Ma esiste un’ultima possibilità. Meno male.
Il tono della parabola cambia. È un finale colmo di speranza.
Esiste un terreno buono che accoglie e porta frutto, tanto frutto. In cui la Parola scava i cuori, cambia la vita, modifica le scelte. Converte. E produce un gran raccolto: trenta, sessanta, cento per uno. Gesù usa un’iperbole per indicare che il seme produce molto più di quanto immaginiamo o speriamo.
Ed è proprio ciò che accade: a fronte di tanto insuccesso, agli occhi degli uomini, resta il fatto che milioni di persone, accogliendo il vangelo, hanno radicalmente cambiato la propria vita.
Vale la pena di riflettere su questo aspetto: leggere la nostra vita, le nostre vicende, il nostro passato per vedere quanto l’incontro col vangelo ci abbia cambiati.