Ogni domenica, al momento del memoriale della cena, quell’inizio solenne e austero mi mette i brividi.
Suona possente e tragico, gonfio di emozione e gravido di conseguenze.
Nella notte in cui veniva tradito, nel peggior momento della sua vita.
Alla fine di un percorso entusiasmante, che ha incendiato i cuori, sconvolto molte vite, irritato più di un benpensante.
Sa, Gesù, che il tempo volge al termine.
Il tempo del convincimento, delle parole piene di buon senso, dei sorrisi e dei miracoli, della folla plaudente.
È finito, quel tempo.
L’incomprensione è alle stelle e tutto sta precipitando. Finendo.
O rinascendo..
Nella notte in cui veniva tradito.
Quando sai che sei alla fine, quando conti le ore, hai voglia di dare tutto, di sistemare le cose, vedere gli amici, parlare, abbracciare.
E lui che fa? Inventa l’eucarestia. All’interno della cena ebraica.
La cena che ricorda la fuga in Egitto.
Non un ricordo come intendiamo noi, in onore della buonanima.
Ancora oggi per un ebreo celebrare Pesah significa allontanarsi dai nuovi faraoni e dalle nuove schiavitù.
Si fa memoria del passato per cambiare il presente.
Così quando Gesù parla di fare quel gesto in memoriale di lui, usa il termine tecnico ziqqaron.
Potremmo tradurre: se volete che ci sia, rifate questo gesto.
E così facciamo. Da subito, da sempre.
Con scrupolo, con verità, rischiando, secondo dove, la pelle.
Da duemila anni i discepoli rifanno quel gesto.
In obbedienza.
La prima ragione per cui vado volentieri a messa è proprio per manifestare obbedienza.
Ob-audire, ascoltare da adulti, da in piedi, virilmente, non servilmente.
Sì, Signore, io credo che tu sia presente in quella cena che rifacciamo. Ci credo.
Un altro cibo è stato dato al popolo in fuga dall’Egitto.
Un cibo che non aveva più nulla a che vedere con le cipolle degli egiziani. Un cibo inatteso e misterioso che il popolo riconosce come donato direttamente da Dio.
Abbiamo bisogno di nutrirci.
Di cibo, ovvio, ma anche di affetto, di luce, di senso, di felicità.
E questo cibo manca: quante persone muoiono per inedia spirituale!
Si spengono interiormente!
Manca il cibo che ci permette di camminare, di capire il grande mistero che resta l’esistenza di ognuno di noi!
È Dio che ci dona il pane del cammino verso la pienezza, verso l’eternità, verso la luce.
È Dio che si fa pane.
Un pane capace di renderci uniti.
Il pane spezzato riporta all’unità, all’essenziale, al centro.
Siamo cristiani perché Cristo ci ha chiamato, ci ha scelto.
La Chiesa non è il club dei bravi ragazzi che pregano Dio, ma la comunità dei diversi radunati nell’unico.
L’eucarestia, allora, diventa il catalizzatore dell’unità.