“Se uno ti percuote con uno schiaffo”, fatto quotidiano anche nella vita famigliare, “se tu vuoi essere discepolo porgi l’altra guancia”. Nel vangelo odierno, ascoltiamo un Linguaggio semitico, per noi forse eccessivo, che non vuole suggerire un’esecuzione materiale del comando, ma piuttosto indica lo “spirito” che ci deve ispirare. Non a caso, dopo aver ricevuto uno schiaffo da una delle guardie del sommo sacerdote, Gesù non gli porge l’altra guancia (cf. Giovanni 18,22), ma replica con assoluta mitezza: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”.
Ma ripeto: Gesù non predica rassegnazione, non chiede di lasciare che l’ingiustizia trionfi, ma chiede un atteggiamento creativo, sempre capace di toccare l’aggressore, di fargli ascoltare una domanda che egli non si pone. In ogni caso, davanti all’ingiustizia patita, occorre non tacere mai, non fuggire, ma intervenire, pur rinunciando sempre all’offesa e alla violenza.
“Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo’ (Levitico 19,18) e odierai il tuo nemico, ma io vi dico…”. Nella Torah (i primi cinque libri della Bibbia) non sta scritto materialmente da nessuna parte di odiare il nemico, ma resta vero che nelle Scritture vi sono testi che non solo giustificano l’odio per il nemico, ma lo richiedono, soprattutto se il nemico personale è sentito anche come nemico di Dio.
Al riguardo, va denunciato un vizio tipico delle persone religiose: quando hanno un nemico personale, facilmente, pensando che Dio sta dalla loro parte, si sentono autorizzate a odiarlo a nome di Dio. Sì, le persone religiose odiano più intensamente delle altre, ritenendosi giustificate e appoggiate da Dio!
Può forse un cristiano classificare come nemiche e odiare quelle persone alle quali Dio, Padre di tutti, concede senza alcuna discriminazione il sole (la vita) e la pioggia (la fecondità), i beni della creazione?
Il discepolo di Gesù capovolge la logica delle Scritture dell’Antico Testamento. Se nei salmi è richiesto di pregare contro i nemici (cf. Sal 16,13; 27,4; 68,23-29, ecc.), Gesù invece chiede di pregare per il loro bene, di benedire chi maledice (cf. Lc 6,28).
Questa è la “differenza cristiana”, la differenza del discepolo di Gesù rispetto a giudei o pagani, indifferenti o non credenti, che lo rende partecipe della nuova creazione inaugurata da Gesù con tutta la sua vita.
Amare l’altro nella sua irriducibile alterità, al di fuori di ogni logica di reciprocità, che richiede il contraccambio e il riconoscimento reciproco dei diritti. Spetta dunque al cristiano vincere la paura del diverso, avere il coraggio di opporre il bene al male, assumere un comportamento pieno di amore gratuito verso i nemici, chiedere a Dio il bene, la felicità, la vita dell’aggressore.
Chi pratica questo comandamento di Gesù sperimenta il compimento della promessa di “essere figlio del Padre che è nei cieli”, il quale ama tutti di un amore che non va meritato e che non dipende dall’essere buoni o malvagi, giusti o ingiusti.