È una domanda essenziale, che non dobbiamo mai dare per scontata, che ci picchia in testa come un martello e che rompe la crosta di ghiaccio che è dentro di noi.
Chi sei, veramente, Gesù di Nazareth?
Chi sei nella storia, in questa contemporaneità che appare disillusa e cinica, in questo mondo travolto dalle troppe informazioni e dalle tante paure.
Chi sei, veramente, Nazareno?
Un mito, un’illusione, un santo, il santo, l’irrilevante, il marginale, il paravento…
Tante risposte possiamo dare, tutte legittime, tutte dense.
E, nonostante duemila anni, fa sorridere il fatto che a migliaia, milioni, ancora ci poniamo questa domanda.
Eppure, alla fine della fiera, la domanda viene rivolta direttamente a noi. A me.
Lascia stare gli altri. Chi sono, io, per te?
E, scrive Luca, questa domanda avviene in un clima di preghiera. Solo nel silenzio, nell’interiorità, nella meditazione, nell’introspezione, possiamo raggiungere, qui e ora, il Nazareno.
E Pietro osa, risponde. Sei il Cristo.
Colui che tutti aspettavano. Ma non così, non così dimesso, non così fragile, non così diverso.
Niente muscoli, o arroganza, niente eserciti liberatori, niente discorsi memorabili prima di scagliarsi in battaglia contro i romani, contro i peccatori, contro chi la pensa diversamente. Non un raffinato esseno, non un altezzoso fariseo, non un aristocratico sadduceo. Nulla di tutto questo.
Più di tutto, più di tutti, spiazzante. Come sempre fa Dio.
Bene, bravo Pietro.
Ma Gesù lo ammonisce: non sarà un Cristo trionfante.
Né sarò accolto, né sarò applaudito. Ma rifiutato ed osteggiato.
Ricordiamocelo, noi discepoli, quando rimpiangiamo tempi in cui avevamo riconoscimento e potere, in cui pensavamo di orientare le decisioni, in cui sedevamo sui troni delle persone influenti.
Esiste un tempo in cui ci è chiesto il peso della responsabilità e dobbiamo vigilare affinché il veleno del potere non ci stordisca.
Ma esiste un tempo, come quello che stiamo vivendo, in cui siamo minoranza, spesso anche malvista e tollerata con sgarbo.
Siamo avvisati.
Il Dio di Gesù non è un Dio forte che mostra i bicipiti, non un Dio onnipotente che sbaraglia gli avversari, non un Dio vincitore da corrompere e convincere, da blandire e sedurre, no.
È un Dio schivo e amorevole, timido, quasi.
Un Dio nascosto che vuole essere amato perciò che è, non per ciò che dà.
Un Dio che vale la pena di seguire, talmente bello da dimenticarsi di sé, pur di conoscerlo.
Un Dio che vale la pena di conoscere al costo di perdere ogni cosa, un Dio che è più di ogni affetto, più di ogni gioia, più della più grande cosa che possiamo possedere.
Un Dio che vale la pena di conoscere, anche a costo di perdere la faccia.
Perdere la faccia per lui, svergognarsi, così come la vergogna più grande per il mondo antico era essere crocifissi, nudi, ostesi al pubblico ludibrio, la più temuta e odiata forma di umiliazione che i romani, tra gli altri, infliggevano come somma punizione. Vergogna al punto che anche le prime comunità cristiane stentavano ad usare la croce come segno di appartenenza.
Fino a che, dice Gesù, non ci saremo appassionati di Lui al punto da poter perdere la faccia, al punto da essere con-crocifissi con lui, avremo ancora uno spazio di crescita nella nostra consapevolezza della sua vera identità.