Dio non è uno che ti manda le disgrazie. Non è un padrone che ti castra e ti impedisce di volare. Non è un despota che ti fa stare buono e zitto sennò ti castiga e allora lavora. Non è uno che brandisce la Legge e aspetta di lapidarti.
Ci vuole il deserto e la verità, la fame di senso e la Parola per riuscire ad arrendersi all’evidenza di Dio. Un Dio che lascia crescere i suoi figli, che ha fatto bene ogni cosa e fa piovere sui giusti e gli ingiusti: un Dio che, come un Padre, scruta l’orizzonte e accoglie con dignità il figlio che lo voleva morto, ed esce a spiegare le sue ragioni all’altro figlio offeso; un Dio che, unico giusto, potrebbe condannarmi e non lo fa, chiedendomi di uscire dalla mediocrità del peccato, falsa libertà.
Siamo alla fine del deserto, amici: ora vediamo all’orizzonte il Tabor. Inizia la grande settimana, la più grande. La settimana piena di stupore e di sangue, di amore e di emozioni. Inizia la settimana Santa. Osanna!
Gesù entra a Gerusalemme trionfalmente. La gente applaude, agita in alto i rami strappati dalle palme e dagli ulivi, stende i propri mantelli al passaggio del Rabbì di Galilea. Piccola gloria prima del disastro, fragile riconoscimento prima del delirio. Gesù sa, sente, conosce ciò che sta per accadere.
Troppo instabile il giudizio dell’uomo, troppo vaga la sua fede, troppo ondivaga la sua volontà. Ma che importa? Sorride, ora, il Nazareno e ascolta la lode rivolta a lui e che egli rivolge al Padre. Messia impotente e mite, energico e tenero, affaticato e deciso. Non entra a Gerusalemme cavalcando un bianco puledro, entra in città cavalcando un ridicolo ciuchino, ricordando a noi, malati di protagonismo, che il potere è tale solo se non si prende troppo sul serio, che la gloria degli uomini è inutile e breve.
Che potere è servire, come ci ricorda continuamente papa Francesco.
E in questo anno insanguinato, incendiato, attraversato da mille tensioni e violenze, davanti alla recrudescenza della tenebra e dell’ombra, Dio ancora indica quel suo gesto assurdo, canzonatorio, ingenuo e sbalorditivo come profezia di pace.
Innalza a te il grido di lode la tua Chiesa, santa e peccatrice, riconosce in te l’unica ragione di vivere, l’unica ricerca, l’unico annuncio, Osanna maestro amato.
Accetta quell’ultima prova il Figlio di Dio, voluta dagli uomini, non certo dal Padre, per manifestare definitivamente il vero volto del Padre, un Padre/Madre colmo di misericordia. Dopo, tutto diventa miracolo. Al servo viene riattaccato l’orecchio, Pilato ed Erode diventano amici, Pietro piange il suo tradimento, Gesù viene riconosciuto “giusto” dal procuratore pagano, le donne vengono consolate e scosse, il ladro appeso alla croce perdonato e la folla torna a casa percuotendosi il petto. È piena di inattesa dolcezza la morte di Dio. Dio muore d’amore. Quando accogliamo il dolore e lo affidiamo, quando, nonostante la violenza, siamo resi capaci di perdonare e donarci, anche la nostra vita produce inattesi miracoli, prodigi e conversioni, senza che neppure ce ne accorgiamo.