Chiedere l’eredità in anticipo, in ogni cultura, significa augurare la morte. Il figlio minore, bramoso di possedere i beni del padre. Se ne va, finalmente libero. Inizia la bella vita, era l’ora.
E si accorge di quanto poco dura il denaro. E gli amici. L’euforia è finita. Arriva una carestia, qualcosa di esterno, che non dipende da lui, e ne è travolto. Nella vita, necessariamente, dobbiamo fare i conti con eventi imponderabili, che non dipendono da noi. Si ritrova a pascolare i porci. E patisce la fame. Spesso solo la fame ci porta a ragionare, solo un’esperienza faticosa e drammatica ci spalanca alla verità, solo sbattere contro un muro, col naso sanguinante, ci fa mettere finalmente a sedere.
Rientra in sé stesso, lui che si era visto sempre e solo dall’esterno. Non è l’amore per il padre a muoverlo, ma la pancia che brontola.
La conversione è sempre un percorso a ritroso, una purificazione della memoria, un riscatto dei propri errori. Torna a casa..
Il padre lo aspettava, gli corre incontro (un padre che corre è inimmaginabile, specie nella tradizione orientale: doveva stare fermo e aspettare il gesto di umiltà del figlio!). Lo abbraccia. Suo figlio non è pronto, non è pentito, lo sa bene il padre. Ma gli ridona dignità, l’anello che è il sigillo di famiglia, i calzari, la veste. Non premia il pentimento col perdono, come siamo abituati a pensare. Perdona senza condizioni.
L’altro figlio torna dal lavoro stanco e si offende della festa che il padre ha fatto in onore del figlio minore. Come dargli torto? Il suo cuore è piccolo ma la sua giustizia grande: ha perfettamente ragione, il padre si comporta ingiustamente nei suoi confronti. Ha accolto l’altro figlio (non osa nemmeno chiamarlo “fratello”, per quanto lo sia) dopo che questi ha speso la sua parte di eredità in prostitute (dettaglio che ovviamente aggiunge per calcare la mano, in realtà non può saperlo…).
Il padre è ferito dal suo giudizio, non aveva bisogno di elemosinare un capretto, bastava prenderlo. Tutto ciò che è mio è anche tuo, gli ricorda. E spiega anche le ragioni della festa: suo fratello poteva morire, travolto dalla dissipazione del cuore. E spegnere la sua anima. Il fatto che sia vivo è una ragione più che sufficiente per fare una grande festa.
Bene, fermatevi qui, ora. Niente bei finali, Luca si ferma. Non dice se il primo figlio apprezzò il gesto del padre e, finalmente, cambiò idea. Né dice se il fratello, inteneritosi, entrò a far festa. No: la parabola resta aperta, senza soluzioni scontate, senza facili moralismi e finali da fiaba. Il Vangelo ci dice ancora una volta che Dio ci considera adulti, che affida alle nostre mani le decisioni, che non interferisce nelle nostre scelte.
Ci dice che la fede è una scelta: tocca a noi decidere in quale Dio credere.
Se quello piccino del fratello minore, un avversario.
Se quello severo del fratello maggiore, un’arpia.
Se quello straordinario che emerge dal racconto e dall’esperienza del Maestro.