La condizione di vedovanza attraversa e segna l’autocoscienza dell’umanità, trasversalmente alle culture e alle religioni.
Nella prima lettura di oggi, una vedova rappresenta la speranza del profeta Elia, il quale nel tempo della terribile carestia – non di solo pane, ma anche di docilità alla parola dei profeti – sconfina nel territorio dei pagani, fino a Tiro, e qui trova una donna che si prende cura di lui, mentre in patria viene perseguitato.
Nel vangelo, una vedova richiama l’ammirazione del Signore Gesù, che proprio mentre si avvicinano i giorni della Pasqua, “mediante il sacrificio di se stesso”, si identifica nel gesto di assoluta generosità di questa “povera” donna.
La vedova è animata dallo stesso dinamismo interiore che arde nel cuore di Cristo e che il Maestro addita ai discepoli come unica via per entrare e dimorare, “nel santuario non fatto da mani d’uomo” di cui ci parla oggi la seconda lettura.
Subito dopo la contemplazione di questo devotissimo gesto della vedova, che dona tutto quanto aveva per vivere, il Signore annuncia la distruzione del tempio (che avverrà nel 70 d.C.).
Tutti noi siamo vedovi/e perché portiamo nel cuore la ferita di una mancanza, la spina di un’assenza, la povertà di una solitudine macerata in una pungente nostalgia: la nostra anima è vedova per natura.
Guarire non si può, ma vivere in un dono totale è sempre possibile.