È l’inizio della fine.
Non lo sa Gesù, tenero, ma la moltiplicazione dei pani e dei pesci segna il declino della sua popolarità. Ma anche, come vedremo più avanti, motiverà la decisione, da parte sua, di cambiare strategia pastorale: non si rivolgerà più alle folle ma al gruppo dei discepoli, agli intimi.
Il Maestro pensava, sperava, che la gente fosse pronta al salto di qualità. Così come sperava che i suoi avessero superato la più impegnativa delle prove, quella della compassione.
L’impatto emotivo su Gesù è enorme: decide di andarsene, di fuggire, la situazione è fuori controllo.
Lo cercano, lo raggiungono, trovano un Gesù riflessivo, duro, la prima affermazione è una staffilata.
Voi non mi cercate per me o per le mie parole, ma perché avete la pancia piena.
Istintivamente non cerchiamo Dio perché ci indichi una strada per crescere, per capire, per amare, ma perché ci risolva i problemi. Senza faticare, se possibile.
Anzi; per molti Dio esiste proprio se risolve i miei guai. Se permangono i miei problemi, Dio non esiste.
È grande il nostro Dio, onnipotente. Si fa servo, sì, ma per prenderci per mano e portarci alla verità delle cose e di noi stessi, per spingerci a fare la sua volontà di bene, non per piegare la sua volontà ai nostri capricci.
È vero: cerchiamo Dio per averne un tornaconto. Ma possiamo convertirci.
Gesù non sta rinchiuso nella sua delusione, non fa l’imbronciato: offre una via d’uscita alla folla. E a noi.
Cercate il pane vero, quello che sazia.
Esiste, quindi, un pane che sazia e uno che lascia la fame.
L’essere umano è divorato dalla fame, dal desiderio.
Mi piace il termine desiderio perché ha a che fare con le stelle (de-sidera). Solo se guardiamo in alto, altrove, solo se indirizziamo la fame verso una pienezza possiamo placarla.
La fame del successo, di denaro, di approvazione, di gratificazione, anche se soddisfatta, ci lascia un vuoto nello stomaco, sembra saziare, ma non colma.
Gesù spiega: il pane che sazia, solo io ve lo posso dare. Pretende di essere l’unico che sazia, l’unico che colma.
Godiamoci le gioie legittime che la vita ci offre: gli affetti, le soddisfazioni, le vacanze, ben sapendo che la nostra pienezza è altrove, è in Dio.
La folla replica: cosa dobbiamo fare?
Fare, sempre fare. Fare o non fare, a questo abbiamo ridotto la fede, a morale.
Gesù sa che prima del fare c’è l’essere e il credere.
Ecco cosa “fare”: “credere” in colui che il Padre ha inviato.
La folla chiede: quale segno fai perché possiamo crederti?
Quale segno? Prego? Come? Ha appena sfamato cinquemila persone!
Di quanti segni necessitiamo per credere?
Perché continuiamo a ricattare Dio?
Non cerchiamo di dissetarci all’acqua di cisterne screpolate.
Gesù dice di essere l’unico che sazia la fame interiore.
Che abbia ragione?
Paolo Curtaz