Il Vangelo di questa domenica ci riporta con Gesù a Nazareth.
La sua fama, ormai nota ovunque, sia in Galilea che in Giudea, raccolse tanti cittadini di Nazareth ad ascoltarlo nella sinagoga. Tutti restarono stupiti delle sue parole. E si ponevano anche la domanda giusta, quella che dovrebbe aprire alla fede:
“Da dove gli vengono queste cose?”.
Purtroppo, gli abitanti di Nazareth, che aspettavano gesti prodigiosi dal loro concittadino, si arrestarono davanti al carattere ordinario della sua presenza. Non era così che essi immaginavano un inviato di Dio; pensavano che un profeta dovesse avere i tratti della straordinarietà e del prodigioso, o comunque quelli della forza e della potenza umana.
Gesù, invece, si presentava come un uomo normale.
Tanto che si dicevano l’un l’altro: “Non è costui il falegname?”. Essere carpentiere non dava una particolare reputazione.
Nel libro del Siracide si legge: “Essi non sono ricercati per il consiglio del popolo, nell’assemblea non hanno un posto speciale, non siedono sul seggio del giudice, non conoscono le disposizioni della legge. Non fanno brillare né l’istruzione né il diritto, non compaiono tra gli autori di proverbi; ma essi consolidano la costruzione del mondo, e il mestiere che fanno è la loro preghiera” (38,32-34).
La famiglia di Gesù era una famiglia ordinaria, né ricca né povera. Né sembrava che godesse di particolare stima da parte dei cittadini di Nazareth. “Non è il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?”, continuavano a chiedersi gli ascoltatori. Insomma, per i nazareni Gesù non aveva assolutamente nulla che potesse distinguerlo da loro.
Gli riconoscevano certamente una notevole sapienza e una rilevante capacità taumaturgica, ma la vera questione era che essi non accettavano che egli parlasse con autorità sulla loro vita sino a chiedere che cambiassero i loro comportamenti. Ecco perché la meraviglia si trasformò subito in scandalo. “Ed era per loro motivo di scandalo”, aggiunge l’evangelista. Quel che appariva all’inizio un trionfo divenne presto un fallimento.
Ma qual era lo scandalo? Gli abitanti di Nazareth, potremmo dire, erano orgogliosi di avere un concittadino famoso; era un vanto che Gesù passasse per un oratore travolgente, che facesse prodigi e che portasse lustro alla loro cittadina.
Una cosa sola non riuscivano a sopportare: che un uomo come lui, che tutti conoscevano benissimo, potesse però avere autorità su di loro, ossia pretendere in nome di Dio un cambiamento della loro vita, del loro cuore, dei loro sentimenti. Tutto ciò non potevano accettarlo da uno di loro.
Eppure è questo lo scandalo dell’incarnazione: Dio agisce attraverso l’uomo, con tutta la pochezza e la debolezza della carne; Dio non si serve di gente fuori dal comune, ma di persone qualsiasi; non si presenta con prodigi o parole stravaganti, bensì con la semplice parola evangelica e con i gesti concreti della carità.
Il Vangelo predicato e la carità vissuta sono i segni ordinari della straordinaria presenza di Dio nella storia.
Sappiamo bene quanto poco sia accolta dalla mentalità comune (di cui tutti siamo figli) questa logica evangelica.
Se il libro dei Vangeli potesse parlare, senza dubbio lamenterebbe la solitudine in cui spesso è relegato; e avrebbe da accusare “noi di casa” per le tante volte che lo spingiamo ai margini della vita, lasciandolo muto, perché non parli e non agisca.