Ha sete, Dio.
Stanco, siede al pozzo di Giacobbe, a Sicar, nell’ora più calda della giornata, nella brulla Samaria. Ha sete d’acqua, ma, molto di più, ha sete della fede della donna che viene a prendere acqua in quell’ora improbabile, per non essere vista dai suoi concittadini.
Dio è stanco.
Stanco di cercare un uomo che lo fugge. Stanco di cercare un uomo che si disseta ad acqua salata, che crede di sapere, che vaga cercando risposte. Che muore di sete a pochi metri dalla sorgente chiara e limpida.
È stanco, Dio.
Ma non importa: aspetta la donna, simbolo della Samaria, terra di mezzo, residuo della gloria del Regno del Nord di Israele, raso al suolo dagli Assiri nel 722 e, da allora, diventato terra meticcia, dalle molte fedi. Il Dio dei confini si spinge nella difficile terra dei samaritani, rischiando la vita, pur di riconquistare la sposa.
Da quando in qua un maschio ebreo rivolge la parola ad una donna samaritana? La durezza e la diffidenza della samaritana si spiegano per due ragioni storiche ed una personale: c’è odio fra ebrei e samaritani, una lunga storia fatta di dispetti e di diffidenza; una donna, poi, non è autorizzata a parlare in pubblico e, infine, lei non ha voglia di ricevere ulteriori attenzioni da un maschio.
Pensa, la donna, che quest’uomo la stia abbordando.
Ha perfettamente ragione: lo Sposo vuole riconquistare la sposa ferita.
Lo sa, Gesù, e insiste, con delicatezza, proponendo un dialogo che è un capolavoro di pedagogia.
Lui non è solo un maschio ebreo, dice, è uno che la può dissetare nel profondo.
La donna, diffidente, chiede lumi, e li riceve.
Sì, questo straniero si propone come qualcuno che nasconde un segreto.
L’ambiguità fra l’acqua di fonte e l’acqua interiore permane: Gesù giunge a dire che invece dell’acqua stagnante può donare acqua di sorgente, anzi, che la donna può diventare essa stessa una sorgente. Folle. O vero.
Bene, è fatta, la donna chiede l’acqua che disseta.
E Gesù, bruscamente, cambia discorso: torna con tuo marito.
Non ha marito, la donna, vive una vita affettiva frammentata: ha avuto cinque mariti. In Israele solo l’uomo può divorziare; questa donna è stata abbandonata quattro volte.
Non è un moralista, il Signore: vuole portare questa donna a capire che ha cercato di dissetarsi all’acqua salata di un’affettività possessiva ed illusoria, di rapporti inautentici e frettolosi. Come facciamo anche noi e questo mondo idiota che pensa che l’amore sia una merce di scambio, una panacea alle solitudini, una scorciatoia. Se l’amore non proviene e porta a Dio, spesso diventa un idolo che lo sostituisce.
È scossa, la donna: lo Sposo le chiede ragione del suo tradimento.
E fugge.
La butta sul religioso!
Quante volte mi è successo!
Davanti alla fede, preferiamo discutere di religione.
E Gesù ci sta, la asseconda.
No, non è Garizim il luogo dove adorare Dio.
E forse nemmeno Gerusalemme.
Dio va adorato nello spirito e in verità.
Domanda ingenua, quella della Samaritana: il tempio dei samaritani era stato raso al suolo dagli ebrei un secolo prima. E, comunque, lei, pubblica peccatrice, non avrebbe potuto mettervi piede. E Gesù la rassicura: Dio la sta cercando ovunque, anche se non può fare la comunione.
Vacilla, la donna. Chi è questo maschio ebreo che le promette il dono della felicità, che le offre rispetto, che esige autenticità assoluta?
La risposta gliela dà Gesù stesso: Io sono. Jahwé.
La brocca resta a terra, vuota. Il cuore, invece, è pieno.
La pubblica peccatrice, la ragazza fragile, la donna facile, ora corre dalle persone che fuggiva e il suo limite diventa occasione di annuncio: c’è uno che mi ha letto la vita, che sia lui il Messia?
I samaritani sono straniti: che dice questa poco di buono?
Vanno, e vedono. E credono: anche i nostri limiti diventano occasione di annuncio!