Gesù vede due fratelli. Poi altri due.
Sembrano pescatori, sono identificati, come noi, da ciò che fanno.
Ma lo sguardo di Gesù è diverso, vede oltre, legge oltre l’apparenza.
Simone il cocciuto non sa ancora di essere Pietro. Giovanni non sa ancora di essere un boanerghes, capace di far tuonare la Parola.
Nemmeno noi sappiamo bene cosa siamo finché non ci mettiamo alla sequela del Signore, finché non abbiamo il coraggio di lasciare tutto, di osare, di credere, di vedere anche noi ciò che Dio solo vede. Il meglio di noi stessi. Il meglio di me.
Venite dietro di me, ci ripete, oggi, il Signore.
Anche se non ne siamo degni, anche se abbiamo affondato i nostri sogni nel profondo del mare dell’abitudine, anche se ci siamo rasseganti a restare con le reti vuote.
Venite dietro di me, ci dice colui che ci conosce fino in fondo.
Il solo, forse, che ci conosce. Il solo che ci ama senza condizioni, senza misura, senza tentennamenti.
Si fida di noi, di me.
Potrebbe farne a meno, ma chiede il nostro aiuto. Il mio.
Siamo fragili, certo. E inadeguati.
Paolo, nella seconda lettura, rimprovera e scuote i suoi fratelli nella fede. Si dividono in gruppi, in caste, seguono ognuno un guru invece di ascoltare il Maestro.
Siamo credenti credibili se abbiamo il coraggio di lasciar prevalere il Signore nelle nostre azioni. Se usciamo dalle nostre piccole logiche per bruciare d’amore come il Cristo.
Eccoci, Signore, fragili come Pietro e Andrea, come Giacomo e Giovanni, eppure ancora disposti a diventare pescatori di umanità, a far germogliare tutta l’umanità che portiamo nel cuore e che tu hai onorato e santificato diventando uomo.