Come ogni anno la Chiesa dedica la sua quarta domenica del tempo pasquale per riflettere sul ruolo dei pastori.
Il buon pastore, è il pastore autentico.
Gesù è il misericordioso, il compassionevole, rivela il volto tenerissimo di Dio, certo. Ma è anche determinato, disposto a morire per le proprie pecore.
La fede è per i forti, non per i deboli. È colma di tenerezza, ma anche di pacifica convinzione e determinazione.
Così si presenta il Signore: come un alleato, l’uomo forte che ci difende dalla disperazione.
Per far parte del suo gregge occorre anzitutto ascoltare la sua voce con costanza. In questo tempo pasquale la liturgia pone al centro l’accoglienza della Parola.
Perché quella Parola ci permette di leggere la nostra vita e gli eventi anche conflittuali e incomprensibili che stiamo vivendo, la violenza, il dominio del liberismo disumano, l’indifferenza, nella logica di Dio.
Il gregge è composto da uomini e donne che hanno scoperto la propria anima, che la custodiscono, che la coltivano.
In questi termini, Dio solo conosce da chi è composto il gregge.
Allora bisogna essere molto molto chiari: l’unico pastore, nella Chiesa, è Cristo.
E tutte le pecore lo seguono, anche coloro che hanno nella Chiesa dei ministeri, cioè un servizio per l’utilità comune.
E al vostro prete non chiedete di essere un super-uomo, un iper-coerente, ma un discepolo, anzitutto. Perché anch’egli possa dire: “Fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1Cor 11,1).
Di questo abbiamo bisogno, ora più che mai: di preti che siano prima seguaci di Cristo. Cristiani con noi. Preti per noi.