La parabola di oggi è molto chiara, al riguardo, i talenti vengono dati: «a ciascuno secondo la sua capacità» (v.15).
Al di là dell’immagine dei talenti, che cos’è questo dono, in definitiva? Secondo Ireneo di Lione è la vita accordata da Dio a ogni persona. La vita è un dono che non va assolutamente sprecato, ignorato o dissipato. Purtroppo – dobbiamo constatarlo – per alcuni la vita non ha alcun valore: non la vivono, anzi la sprecano e la sciupano “fino a farne una stucchevole estranea” (Konstantinos Kavafis), e così si lasciano vivere. Eppure si vive una volta sola e il farlo con consapevolezza e responsabilità è decisivo al fine di salvare una vita o perderla! Secondo altri padri orientali, i talenti sono le parole del Signore affidate ai discepoli perché le custodiscano, certo, ma soprattutto le rendano fruttuose nella loro vita, le mettano in pratica fino a seminarle copiosamente nella terra che è il mondo.
“Dopo molto tempo” il padrone ritorna ed eccoli dunque presentarsi tutti davanti a lui. I primi due sono lodati per essersi messi in gioco.
Viene infine colui che aveva ricevuto un solo talento, il quale mette subito le mani avanti e confessa di essersi fabbricato un’immagine distorta del Signore, un’immagine plasmata dalla sua paura e dalla sua incapacità di avere fiducia nell’altro.
Che immagine ho di Dio? La cerco nel Vangelo, oppure la ricevo in modo acritico dall’ambiente o dalla mia mentalità?
L’ultimo servo viene definito “malvagio”, perché ha obbedito all’immagine perversa del Signore che si è fatta, e così ha vissuto un rapporto di amore servile, di amore ‘costretto’.
Sì, lo sappiamo: è più facile seppellire i doni che Dio ci ha dato, piuttosto che condividerli; è più facile conservare le posizioni, i tesori del passato, che andarne a scoprire di nuovi; è più facile diffidare dell’altro che ci ha fatto del bene, piuttosto che rispondere nella libertà e per amore.
Stiamo attenti a non rinchiuderci in quello che potremmo definire un “io minimo”. Come questo servo che non ha fatto il male; peggio ancora, non ha fatto niente!
Dunque davanti a Dio nel giorno del giudizio, compariranno i servi fedeli che entreranno nella gioia del Signore; chi invece è stato “buono a nulla” sarà spogliato anche dei meriti che pensava di poter vantare!
Ma a me piacerebbe che la parabola si concludesse altrimenti: oso dunque proporre questa conclusione “apocrifa”:
Venne il terzo servo, al quale il padrone aveva confidato un solo talento, e gli disse: “Signore, io ho guadagnato un solo talento, raddoppiando ciò che mi hai consegnato, ma durante il viaggio ho perso tutto il denaro. So però che tu sei buono e comprendi la mia disgrazia. Non ti porto nulla, ma so che sei misericordioso”. E il padrone, al quale più del denaro importava che quel servo avesse una vera immagine di lui, gli disse: “Bene, servo buono e fedele, anche se non hai niente, entra pure tu nella gioia del tuo padrone, perché hai avuto fiducia in me”. (Enzo Bianchi)