Io sono Zaccheo

Io sono Zaccheo

Due sono le peculiarità che caratterizzano Zaccheo: è un capo dei pubblicani ed è ricco.

Non sappiamo altro di lui: nulla sul suo carattere, sui suoi sogni, sulle sue amicizie, sulla sua fede.

È il suo ruolo, non si scappa.

Per Gesù quell’uomo ha un nome, Zaccheo, non un ruolo.

Sono temuti, i pubblicani: alle spalle hanno l’aquila romana.

Ma i suoi concittadini, ora, si tolgono una piccola soddisfazione, diventano un muro davanti alla strada, gli impediscono di vedere. Piccola e innocente vendetta fra uomini, come ancora si usa oggi.

Zaccheo ha saputo del passaggio del profeta.

Non che la cosa lo riguardi più di tanto: i farisei e gli scribi, di solito, insultano e tengono distanti i pubblicani, non scherziamo. Zaccheo sa bene di essere un pubblico peccatore, non ha nessuna possibilità di salvezza.

Se anche il Messia venisse, Zaccheo rimarrebbe fuori dalla porta della festa. In compagnia dei pastori. Della samaritana. Della donna emorroissa. Ma è curioso.

«Cercava di vedere», annota Luca.

È la ricerca il cuore pulsante di questo incontro.

Zaccheo cerca Gesù che lo cerca. E si incontreranno.

Siamo ciò che desideriamo. Siamo ciò che cerchiamo.

Non è curiosità fine a sé stessa, lui non vuole soddisfare il suo quarto d’ora di delirio mistico.

La ricerca di senso, la curiosità, va orientata e nutrita. Zaccheo ha intuito che Gesù ha a che fare con la sua felicità. E osa.

Un muro di gente ci impedisce di vedere Gesù.

Schiene, non volti. Persone che ci sono ostili, che dicono che è tutto falso, che non c’è né desiderio, né soddisfazione, che l’uomo è drammaticamente incapace di risposte, è mostruosa creatura irrisolta.

Zaccheo sembra non avere soluzioni.

Potrebbe girare i tacchi e tornarsene a casa.

Come molti, oggi, che gettano la spugna alla prima difficoltà.

Corre avanti. Zaccheo trova una soluzione semplice davanti al muro di folla che aspetta Gesù: salirà su un albero.

Su di un sicomoro, per la precisione.

La Bibbia ci dice che il sicomoro, albero sempre verde che non cresce in Europa, fa parte della famiglia dei fichi.

I rabbini insegnavano o studiavano sotto il fico e alcuni paragonavano la Torah (la Legge) al fico per via della dolcezza del suo frutto. È in alto, libero, non ostacolato.

Che bello sarebbe se le nostre comunità diventassero tanti alberi su cui chiunque (chiunque!) possa salire per vedere il Signore…

Appena giunto al luogo dell’appuntamento, all’albero,

Gesù alza gli occhi e lo vede.

Zaccheo! Lo chiama per nome, lo conosce, sa bene chi è.

Oggi deve andare da Zaccheo.

Oggi: ogni giorno, ogni oggi è il giorno in cui possiamo accogliere il Signore in casa nostra.

In questo incontro troviamo il cuore del vangelo.

Dio precede e suscita la nostra conversione.

Zaccheo contraddice il nostro modo di pensare: di solito parliamo di contrizione e di pentimento per meritare il perdono di Dio.

Pecco, mi pento, Dio mi perdona, questa è la sequenza corretta.

Gesù scardina questa sequenza: pecco, Dio mi perdona, quindi mi pento.