Procede determinato il nostro Giubileo, immensa grazia e opportunità che ci è stata data per passare dal dio piccino che portiamo nel cuore a quello di Gesù.
Le parabole ascoltate oggi (la pecora perduta, la dracma, il figliol prodigo..) gettano una spallata definitiva alla nostra mediocre visione di Dio per spalancare la nostra fede alla dimensione del cuore di Dio.
Convertirsi significa passare dalla nostra prospettiva a quella inaudita di Dio e questo significa fare come Lui.
Noi diciamo: «Ti amo perché sei amabile, te lo meriti, perché sei buono».
Dio dice: «Ti amo con ostinazione e senza scoraggiarmi perché so che il mio amore ti renderà buono».
C’è una bella differenza! In fondo in fondo costruiamo una vita di fede orientata intorno ai nostri meriti. Nessuno si merita l’amore di Dio. Il suo amore è assolutamente gratuito, libero, pieno.
Dio non ci ama perché siamo buoni, ma amandoci senza misura ci rende buoni, aprendoci alla speranza e alla conversione.
L’esperienza del peccato diventa occasione per un incontro più duraturo e autentico con questo Dio che ci perseguita con il suo amore.
Ben lontano dall’avere una visione poetica o approssimativa del peccato, l’evangelista Luca sa che l’esperienza di sofferenza interiore che è il peccato, lo smarrimento, la lontananza da Dio e da noi stessi, può diventare un incontro che salva, che ci aiuta a ripartire con maggiore autenticità e coraggio.
La nostra fede non si fonda sulle nostre capacità, sulle nostre devozioni, sui nostri sforzi, ma sull’ostinazione di Dio che ci cerca.