Nel vangelo di oggi: un fatto di cronaca, uno dei tanti.
Nel tratto di ventisette chilometri che separano la capitale Gerusalemme dalla città di Gerico, mille metri di dislivello nel roccioso deserto di Giuda, si viaggia in carovana per non cadere in mano ai briganti.
Un tale, imprudente, viaggia da solo, viene rapinato e ferito, lasciato morente a bordi della strada.
Per caso passano di là prima un prete (un sacerdote), poi un cantore/lettore (un levita).
Per caso: l’incontro col fratello bisognoso è sempre casuale, lo incrociamo mentre prendiamo il treno o per strada.
I due, probabilmente, hanno appena concluso il servizio al tempio. Un’intera settimana passata a lodare Dio e a chiedere misericordia.
Misericordia che negano al malcapitato.
Fanno finta di non vedere, tirano dritto.
Che ne sanno di chi è quel tale e cosa è successo? E se fosse un regolamento fra bande? E se avesse l’AIDS?
E se i briganti tornassero?
Hanno Dio nel cuore, sulle labbra, fanno discorsi sensati, prudenti. Non sono malvagi, brava gente. Sono solo paurosi.
Far finta di non vedere è meglio.
Gesù non li biasima, né li condanna: sono figli del loro tempo.
E del loro Tempio.
E del loro Dio da venerare e omaggiare con incensi e olocausti.
Perché fuori il mondo non esiste, è brutto e cattivo.
Invece un samaritano…
Dire “samaritano” ad un ebreo era un insulto e l’odio fra i due popoli era radicato.
Non va a cercarsi la persona da aiutare, è la vita che ce la mette in mezzo ai piedi continuamente. Il samaritano vede un uomo, non un nemico, non uno dell’altra squadra.
Un uomo che ha bisogno. E il suo è anzitutto un bisogno di compassione. Di patire insieme. Di condividere.
Si ferma, agisce, si prende cura di lui.
Il sentimento diventa azione. Azione che gli fa perdere tempo, soldi, che gli fa correre dei rischi.
Non fa il salvatore della patria, ha la sua vita, continua il suo viaggio impegnandosi, di ritorno, a fermarsi per saldare eventuali debiti all’albergatore. Accompagna ed affida.
Non può risolvere tutti i problemi.
È l’obiezione che mi sento rivolgere continuamente: a che serve salvare i poveri cristi che arrivano con i barconi?
È un intero continente a fuggire!
Vero: io, però, ho davanti agli occhi quella bambina annegata che galleggia.
Cosa vuoi che faccia la mia protesta di cittadino se intorno tutti rubano e se ne fregano?
Giusto: io, però, voglio consegnare a mio figlio un mondo migliore e mi comporto onestamente.
Ha ancora senso cercare di accogliere i nostri ragazzi, fare degli inutili corsi pre-matrimoniali ora che il mondo occidentale disprezza il cristianesimo?
D’accordo: io, però, continuo a parlare del magnifico volto di Dio sperando che qualcuno se ne accorga.
La mia è solo una goccia nell’oceano. Una sola.
Ma questa non è una buona ragione per non farla cadere nell’acqua.
Mi immagino l’uditorio di Gesù.
Silenzio assoluto.
E Gesù conclude: tu di chi vuoi essere prossimo? A chi vuoi avvicinarti? Chi scegli come tuo fratello?
“Il male ai miei occhi, consiste in gran parte nel credere orgogliosamente di poter bastare a se stessi. E’ il sentimento della propria sufficienza e il disprezzo dell’altro spinti all’assurdo. Scandalo della vita schernita, dello spreco, dell’indifferenza per i vecchi e i poveri, gli affamati, gli oppressi, i disoccupati, gli stranieri, gli esclusi di ogni specie… Tutto ciò investe la nostra responsabilità, costituisce il nostro problema, non quello di Dio.”
(Abbé Pierre)