È in una chiesa, piccola o grande, storica o moderna, splendida o decadente, che si raduna la Chiesa.
E lo fa per una ragione ben precisa, in un momento puntuale e specifico: per ripetere, in obbedienza al Signore, quel fate questo in memoria di me che, crediamo, lo rende presente nel segno del pane e del vino.
Non sempre ne siamo consapevoli e, dobbiamo essere onesti, a volte, partecipando, si ha l’impressione di una certa abitudinarietà che, come in un rapporto di coppia ormai datato e stantio, un po’ spegne gli entusiasmi di chi vorrebbe riconoscere, in quella ritualità, l’ultima cena.
Tant’è: che siano delle splendide celebrazioni o delle messe buttate giù di fretta, Cristo viene.
Il vangelo di oggi ci racconta la moltiplicazione dei pani e dei pesci nel racconto di Luca.
D’altronde Luca ha conosciuto la fede, probabilmente, grazie alla predicazione di Paolo il quale, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, è scrupolosamente attento a tramandare alle sue comunità ciò che a sua volta ha ricevuto.
Alcuni dettagli della sua versione svelano questo parallelismo: la moltiplicazione avviene all’imbrunire e non possiamo che pensare al misterioso viandante di Emmaus che viene pregato di restare perché scende la sera; Luca è l’unico che ci dice che Gesù fece dividere la folla in gruppi di cinquanta, probabilmente il numero degli appartenenti ad una comunità; se sono di più, e lo vediamo bene!, si diventa un gruppone anonimo senza rapporti; inoltre non si spezzano solo i pani ma anche i pesci (!) cosa improbabile ma sappiamo che il pesce, nelle prime comunità, è simbolo di Cristo: è lui ad essere spezzato.
Luca, insomma, ci manda un messaggio preciso: il più grande miracolo che Gesù ha compiuto non è quello di avere sfamato le persone. Ma le loro anime.
Facendosi lui stesso cibo nell’eucarestia.
Perché, alla fine della fiera, il significato di questa domenica del Corpus Domini è tutto e solo qui: durante la celebrazione dell’eucarestia, di ogni eucarestia, anche bislacca, azzoppata, frettolosa, Gesù si fa pane spezzato, osa, rischia, si dona.
Senza misura, senza condizioni, senza reticenze.
Se è così, se ne prendiamo coscienza, se lo assaporiamo, allora non possiamo fare a meno di esserci.
E di gioirne, e di fare di tutto perché le nostre celebrazioni siano piene, belle, autentiche, solari, forti, dinamiche, oranti, fonte e culmine della nostra fede.
Forse vale la pena, serenamente, oggi, di chiederci se non dovremmo celebrare meno messe e ridare spazio a Dio nelle nostre messe, che non sono una buona abitudine, ma l’attuazione qui e ora della salvezza del Signore.
Ho scritto, in questi mesi, che “il modo per evitare che l’Europa si islamizzi, nuovo fantasma agitato dai giornaloni, è tornare alla fede vera, andare a messa, pregare, riscoprire il Vangelo, convertirsi sul serio, passare da una religione sociale all’incontro con Gesù. E agli amici musulmani dico, con amicizia:
accogliete la buona notizia che Dio non vi tratta più come muslim, sottomessi, ma come figli”.
È triste vedere, invece, come molti si scandalizzino dell’islamizzazione dell’Europa, guardandosi bene dal riscoprire la verità (e non solo le radici culturali!) del Vangelo.
Buona domenica allora. E buona Messa, ovunque siate.
La sua presenza nella povertà infinita di un pezzo di pane.