Il vangelo di oggi, dell’adultera perdonata, fu ignorato per molti secoli dalle comunità cristiane, perché scandalizzava il perdono di Gesù, la sua misericordia, che ci mostra il vero volto di Dio.
L’uomo è propenso a credere in «un Dio che condanna e si vendica, giustificando la violenza» piuttosto che in un Dio misericordioso. L’adultera, al centro del brano del Vangelo, non ha un nome, ella “rappresenta tutti” in quanto ogni persona, nella propria vita, cade in errore così come ognuno di noi sente la tentazione di essere giudice degli altri, un giudice che, al posto di perdonare, lapida chi sbaglia nella convinzione così di salvare la verità.
Gesù, invece, ci mette con le spalle al muro e ci obbliga a gettare la maschera dell’ipocrisia: è così che il giudizio contro l’adultera si trasforma in “un boomerang contro l’ipocrisia dei giudici“, ha spiegato padre Ronchi negli esercizi spirituali che ha tenuto al Papa e la curia romana questa settimana: «Nessuno può gettare la pietra, la scaglierebbe contro se stesso. Dove c’è misericordia», ha commentato il predicatore citando S. Ambrogio, «lì c’è Dio; dove c’è rigore e severità forse ci sono i ministri di Dio ma Dio non c’è».
«Va e d’ora in poi non peccare più», sono le parole che Gesù rivolge alla donna, parole che bastano a cambiare una vita. Il perdono di Dio non è buonismo ma «rimettere in cammino una vita», poiché nel giudizio di Dio «il bene possibile domani conta più del male ieri».
Il perdono di Dio è un “amore autentico” che incalza l’uomo a divenire “il meglio di ciò che può diventare”.
«Il passo evangelico dell’adultera perdonata da Gesù ci ricorda che accusatori e ipocriti negano Dio, la Sua misericordia».
I farisei di ogni epoca mettono il peccato «al centro del rapporto con Dio». I poteri non esitano a usare una vita umana e la religione «mettono Dio contro l’uomo». È questa «la tragedia del fondamentalismo religioso: il Signore non sopporta gli ipocriti, quelli delle maschere, dal cuore doppio, i commedianti della fede e non sopporta accusatori e giudici».
Gesù si alza davanti all’adultera, per esserle più vicino e le parla. «La sua storia, il suo intimo tormento non interessavano». Gesù coglie l’intimo di quell’anima. «La fragilità è maestra di umanità: è la cura dei fragili, degli ultimi, dei portatori di handicap e l’attenzione alle pietre scartate che indica il grado di una civiltà di un popolo, non le gesta dei forti e dei potenti».
Gesù mette se stesso al posto di tutti i condannati. Al centro non c’è il male ma «un Dio più grande del nostro cuore» che non banalizza la colpa ma fa ripartire l’uomo da dove si è fermato. Apre sentieri, rimette sulla strada giusta, fa compiere un passo in avanti, «spalanca il futuro».
Gesù compie «una rivoluzione radicale».
Un Dio nudo, in croce, che perdona, sarà il gesto sconvolgente e necessario per disinnescare la miccia delle infinite bombe sulle quali è seduta l’umanità. Non il Dio onnipotente, ma l’Abbà onni-amante. Non più il dito puntato, ma quello che scrive sulla pietra del cuore: io ti amo. «Va e d’ora in poi non peccare più».
«Dio perdona non come uno smemorato, ma come un liberatore». Il perdono non è buonismo, «ma rimettere in cammino una vita». Il perdono libera dalle schiavitù del passato.
Tante persone vivono «come in un ergastolo interiore», schiacciate dai sensi di colpa a causa di errori passati. Ma «Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri. Le parole di Gesù e i suoi gesti spezzano lo schema buoni/cattivi, colpevoli/innocenti. All’occhio che vede il peccato – conclude padre Ermes Ronchi – è chiesto di vedere il sole: la luce è più importante del buio, il grano vale più della zizzania, il bene pesa più del male».