L’inadeguatezza del nostro “ministero” di cristiani.

L’inadeguatezza del nostro “ministero” di cristiani.

Isaia (1 lettura) si rende conto del suo limite di profeta.

Paolo (2 lettura), pensando alla sua storia, si rende conto di essere stato come un aborto, cioè una persona inadatta.

Pietro (nel vangelo), profondamente colpito dalla pesca miracolosa, prende consapevolezza del suo peccato.

 

Il tema di questa domenica sembra proprio essere l’inadeguatezza del nostro “ministero” di cristiani. Per quale misteriosa ragione Dio ha affidato alle nostre fragili mani la preziosa missione di annunciare il suo volto? Perché portiamo il tesoro del Vangelo in fragili vasi di creta?

Gesù chiama alcuni pescatori a collaborare mentre sono sulla riva, alla fine dell’inutile giornata lavorativa. Nessun ambiente sacro, all’orizzonte, nulla di particolarmente mistico. E le persone coinvolte non appaiono troppo interessate, o preparate, o dotate di qualità particolari. Sono solo pescatori cui Dio chiede in prestito una barca. Così accade anche a noi oggi.

Dio ci chiama nel bel mezzo della quotidianità, nella povertà della mia comunità parrocchiale, nell’incedere noioso dei giorni che passano. Ed è lui a raggiungerci: noi cristiani non abbiamo bisogno di luoghi speciali per fare esperienza di fede o di giorni diversi dagli altri. È quando meno ce lo aspettiamo che Dio ci chiede di dargli una mano. Siamo sempre pronti a pensare a Dio come uno che la mano ce la dà. Invece ce la chiede.

La barca, nei vangeli, ha sempre a che fare con la Chiesa, la rappresenta. Nella barca si sta insieme, in uno spazio ristretto, poco sicuro. E qualcuno deve remare. E un altro deve tenere il timone e capire come fare per superare le onde più alte.

Ma sulla barca c’è Gesù. E sa bene in che direzione andare.

No, non lo so perché il Signore scelga discepoli fragili come noi. Forse perché trasparisse con maggiore chiarezza che quella grazia che arriva al cuore degli altri non viene dalle nostre capacità o dalla nostra bravura, ma dalle labbra stesse di Dio.

Gesù non si spaventa del peccato di Pietro. E del mio. Il peccato è la condizione necessaria per sperimentare la misericordia di Dio. E, perciò, per diventare capaci di compassione. Siamo chiamati a diventare pescatori di uomini. Il verbo usato da Luca non è propriamente pescare ma catturare viviprendere per mantenere in vita. Siamo chiamati a tirare fuori dalla situazione di disperazione e di dolore, di scoraggiamento e di morte, quanti più uomini possibili, farli figli, condurli alla salvezza di Dio. E lo possiamo fare perché abbiamo, noi per primi, sperimentato la bellezza della presenza di Dio, un Dio che ci chiede di collaborare, di prendere il largo, di aiutarlo ad indicare la salvezza.