«Non temere, continua ad annunciare e non tacere, perché ho un popolo numeroso che mi appartiene, in questa città» (At 18, 10). Noi, membri della Chiesa di Lucca, ringraziamo con gioia il Signore che ci ha chiamato ad essere il popolo che gli appartiene in questa città. Segnati dal sigillo della Trinità e costituiti «pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale» (Pt 2, 5), avvertiamo con intensità la partecipazione al mistero della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, diffusa su tutta la terra, cui il vescovo di Roma presiede nella carità. Ci riconosciamo povero, ma vero inizio del Regno di Dio quaggiù. In cammino verso il compimento di quel popolo numeroso che gli appartiene e che egli viene incessantemente radunando da un confine all’altro della terra, diciamo con la parola di Gesù: «Venga il tuo Regno» (Mt 6, 10). La memoria del passato. Con lo sguardo rivolto al futuro, come Chiesa riunita in sinodo, abbiamo fatto memoria del nostro passato. Sappiamo che in esso è segnata la misericordia e la fedeltà di Dio per noi, la testimonianza della nostra accoglienza come del nostro peccato, la incrollabile certezza che «eterna è la sua misericordia» (Sal 135).
- Il cammino bimillenario di questa Chiesa nel tempo, ci viene incontro nell’immagine del Volto Santo. In questo riconosciamo la forza inerme e vittoriosa dei martiri che ci hanno recato la fede, la carità perfetta dei nostri santi, la fedeltà silenziosa e faticosa delle generazioni che prima di noi hanno vissuto su questa nostra terra: una lunga corrente di fede, che ha mosso anche la nostra generazione ad incontrare il mistero di salvezza. Riconosciamo nel suo volto anche le stigmate delle infedeltà personali ed ecclesiali, la realtà di una storia, la nostra, spesso segnata dal male.
- Sotto l’icona del Volto Santo si è riunito questo sinodo: il primo dopo il Concilio Vaticano II, l’ultimo di questo secondo millennio. Di fronte ai molti doni ricevuti, acutamente avvertiamo quanto ancora manca ad una nostra piena risposta. Abbiamo visto i nostri limiti e senza reticenze li confessiamo, considerando una grazia il poterli riconoscere. È infatti da questa consapevolezza che può crescere il desiderio autentico di conversione, avendo sempre gli occhi rivolti a colui che tutto conosce e tutto perdona, fedele compagno e maestro che ci guida sulle strade del regno. Riconosciamo innanzitutto come nelle nostre comunità si vada sempre più manifestando quella che potremmo chiamare l’evanescenza della fede, cioè la perdita di contatto personale con Gesù Cristo e il suo vangelo, una vita di fede assai formale anche nell’esperienza dei sacramenti, l’incertezza dei valori cristiani, la contraddizione fede-vita.
Questo è certamente il limite fondamentale dal quale gli altri derivano, perché è solo da una fede matura, che proclama davvero il Signore come Signore della vita, che possono crescere e diffondersi i doni dello Spirito per l’edificazione di una Chiesa unita nella carità. La nostra Chiesa è ancora lontana dall’essere la comunità dei poveri, perché ancora troppe sono le ricchezze e le sicurezze di cui dispone. Tiepida ed insicura è la sua accoglienza di chi è solo, emarginato, disprezzato. Non sappiamo camminare insieme a coloro che vivono senza fede, per dialogare ed ascoltarli.
In ricordo di Mons. Bruno Tommasi, In infirmitate virtus