Celebrare il mistero della Trinità non significa lanciarsi in chissà quali speculazioni intellettuali e numeriche, significa aprirsi al mistero della comunione che rende Dio talmente parte della nostra vita da renderci fratelli.
Dio c’è, dice Gesù. Ed è molto diverso da come ce lo siamo immaginati.
Chiedi in giro, dice l’autore del Deuteronomio nella prima lettura.
Interroga pure chi vuoi e fammi sapere se si è mai sentito dire che una divinità si sia occupata degli uomini, abbia udito il loro grido, sia intervenuta, abbia agito.
Chiedilo ai greci e ai romani, con loro Pantheon fatto di divinità umorali e capricciose. Chiedilo agli assiri, agli egiziani, ai medi e ai parti, che giungono ad immolare le persone per saziare i loro dei e hanno costruito le tombe più grandi della storia umana. Una fede di morti, un paese di morte.
Chiediamolo a noi stessi, proviamo a capire qual è il Dio in cui crediamo, di cui ci fidiamo.
Non quello dei tagliagole (oggi islamici, in passato anche cristiani).
Non quello che benedice i ricchi e i vincenti.
Non quello inamovibile di chi si crede sempre dalla parte dei giusti.
No, non si è mai sentito parlare di un Dio che si è sporcato le mani, che ha avuto compassione.
Né, tantomeno, si è mai sentito dire che Dio è buon padre, una buona madre. Un padre/madre equilibrato, saggio, che ascolta ma lascia crescere, che indica ma non forza, che accompagna ma non obbliga.
Un Dio adulto che ci tratta da adulti e ci fa crescere.
Ci voleva lo Spirito per capirlo. Ci vuole lo Spirito per crederci.
Solo nello Spirito riusciamo a capire e a sperimentare.
Ma ci voleva una Pentecoste e Gesù che ci spiegasse, alla fine, la cosa più inimmaginabile.
Dio è trinità.
Cioè comunione.
Se noi vediamo “da fuori” che Dio è unico, in realtà questa unità è frutto della comunione del Padre col Figlio nello Spirito Santo. Talmente uniti da essere uno, talmente orientati l’uno verso l’altro da essere totalmente uniti.
Dio non è solitudine, immutabile e asettica perfezione, ma è danza, festa, relazione, comunicazione, comunione, abbraccio, intesa.
Solo Gesù poteva farci accedere alla stanza interiore di Dio, solo Gesù poteva svelarci l’intima gioia, l’intimo tormento di Dio: la comunione.
Che significa questa scoperta? Cosa cambia nella nostra quotidianità?
La bella parabola della Genesi ci ricorda di come Dio si sia guardato allo specchio, sorridendo, per progettare l’uomo. Ma se questo è vero le conseguenze sono enormi.
La solitudine ci è insopportabile perché inconcepibile in una logica di comunione. Se giochiamo la nostra vita da solitari non riusciremo mai a trovare la luce interiore perché ci allontaniamo dal progetto.
Sartre scriveva: L’enfer c’est les autres, gli altri sono l’inferno.
Gesù ci ribadisce: Siate perfetti nell’unità.
E se anche fare comunione è difficile, ci è indispensabile, vitale, e più puntiamo alla comunione e più realizziamo la nostra storia, più ci mettiamo alla scuola di comunione di Dio, più ci realizzeremo.
Il grande sogno di Dio, la Chiesa, va costruito a immagine della Trinità.
La nostra comunità prende ispirazione da Dio-Trinità, guarda a lui per intessere rapporti, per rispettare le diversità, per superare le difficoltà.
Se ti accusassero di essere cristiano, troverebbero delle prove contro di te?
(Dietrich Bonhoeffer).