In una famosa pagina del profeta Ezechiele, il profeta descrive il legno della vite. Che pregi ha? Nessuno. Il legno della vite è l’unico legno tra gli alberi della campagna con il quale non si può fare nulla; non ci si può fare un oggetto, un attrezzo utile. Il legno della vite è buono soltanto per far passare la linfa vitale ai tralci e produrre frutta. Quindi il legno della vite è il legno inservibile, se non per portare frutto.
Nella cultura d’Israele la vite era immagine del popolo, del popolo di Israele. C’è il famoso cantico d’amore del Signore per la sua vigna, contenuto nel capitolo 5 del Profeta Isaia; anche il Profeta Geremia parla di Israele come di una vite. Bene Gesù dichiara di essere “la vera vite”, quindi ci sono delle false viti.
E il Padre “è l’agricoltore”. Allora ci sono dei ruoli ben distinti: Gesù è la vite, dove scorre la linfa vitale, il Padre è l’agricoltore.
Qual è l’interesse dell’agricoltore? Che la vigna porti sempre più frutto e infatti, scrive l’evangelista, “ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie”. Qual è il significato di questa espressione? L’evangelista sta parlando della comunità cristiana dove c’è un amore che viene comunicato dal Signore, un amore ricevuto dal Signore, e questo amore si deve trasformare in amore dimostrato agli altri.
E questo è caratteristico dell’Eucaristia.
Ci può essere il rischio che nella comunità ci sia una persona che assorba questa linfa vitale, assorba questa energia, assorba questo amore, assorba questo pane, ma poi non si faccia pane per gli altri, non trasformi l’amore che riceve in amore per gli altri. È un elemento passivo, che pensa soltanto al proprio interesse, a se stesso, e quindi non comunica vita.
Dispiace vedere che ancora i traduttori rendono il termine con ‘potare’ che non è quello adoperato dall’evangelista. Il verbo adoperato da Giovanni è ‘purificare’, non ‘potare’. Sono due cose completamente diverse. Cosa significa purificare? Il Padre che ha a cuore che il tralcio porti più frutto sa individuare quegli elementi nocivi, quelle impurità, quei difetti che ci sono nel tralcio e lui provvede a eliminarli.
L’uomo si realizza non quando pensa a se stesso, alla propria perfezione spirituale, che può essere tanto illusoria e lontana quanto è grande la propria ambizione; l’uomo deve centrarsi sul dono totale di sé, che è immediato.
Secondo la concezione dell’epoca Dio era nella sfera della santità, della purezza e soltanto chi era puro poteva entrarci pienamente in contatto. Ebbene, l’amore che si traduce in servizio è la garanzia di essere in pieno contatto con il Signore.
Ed ecco il finale: “In questo è glorificato il Padre mio”. C’era l’immagine che Dio dovesse essere glorificato attraverso opere straordinarie, magnificenze gloriose, no, l’unica maniera per manifestare la gloria di Dio, la rivelazione del suo amore, è un amore che gli assomiglia, “Che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
L’unica maniera per dar gloria a Dio è manifestare nella nostra vita un perdono, una misericordia, una condivisione che in qualche maniera gli assomiglino.