Questa domenica la Parola ci conduce a fare l’esperienza del corpo risorto di Gesù. Gli apostoli sono talmente lontani dallo sperare nella resurrezione del loro maestro che lo credono un fantasma. E Gesù, per trarli fuori dal loro cieco brancolare nelle paure dell’incredulità, oppone un argomento irrefutabile e concreto: il proprio corpo. Lo tocchino dunque, lo guardino attentamente, gli offrano del pesce arrostito. Lui non esiterà a mangiarlo. Gesù dunque è anche il suo corpo: un corpo di risuscitato che aveva percorso l’iter di un’esistenza votata alla morte. E poiché la sua era stata una morte di amore e per l’amore, la nostra stessa morte «è stata ingoiata dalla vittoria» che è appunto la risurrezione di Gesù. Tutte le cose scritte su di Lui «nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» ecco, ora si sono compiute. Il Signore lo conferma apparendo più volte con questo corpo che è quello stesso che ha vissuto le fatiche esistenziali e la morte; ma ora, essendo il corpo del Risorto, è come se Egli avesse seminato nella nostra stessa corporeità un seme di risurrezione, invisibile ma potente. È lì che la nostra speranza diventa albero di pace e di serenità. Oggi, nella nostra pausa contemplativa, guardiamo a Gesù risorto e contempliamo in Lui il nostro futuro di speranza. Sì, anche noi risorgeremo. Tutto cambia anche in ordine alle nostre gioie, fatiche e dolori presenti, se splende nel nostro cuore questa certezza: le gioie diverranno pienezza, le fatiche riposo, il dolore felicità.
Signore, tante volte mi vien la tentazione di andarmene via da solo, di lasciare che gli altri se la cavino senza di me. Sento la fatica di dovermi fermare per attendere chi cammina lentamente o batte la fiacca, mentre io vorrei correre in avanti. La strada da percorrere è tanto lunga, non vedo l’ora di arrivare e mi tocca perder tempo con chi non ha voglia di camminare. Ma Tu, Signore, mi fai capire che sto sbagliando. Da solo potrei forse arrivare primo, ma Tu mi domanderesti conto dei miei fratelli, e sarei condannato a retrocedere all’ultimo posto. Insegnami, Signore, la pazienza di aspettare, la generosità di aiutare gli altri a scoprire la bellezza del cammino, l’umiltà per non ritenermi il più bravo di tutti. Non è importante che uno arrivi per primo, ma che l’ultimo di noi possa giungere al traguardo sostenuto da una comunità di fratelli e sorelle. Sulla strada non siamo mai soli, non possiamo esser soli, perché Tu cammini con noi, come facevi con i discepoli di Emmaus, e ci insegni a spezzare il pane con i fratelli, per riprendere la strada con entusiasmo e con speranza nuova.