La sala delle nozze si riempì di “cattivi e di buoni”, sembra che non ci siano discriminanti, tutti sono accolti indipendentemente dal proprio stile di vita.
Questo la dice lunga sulla nostra idea di voler dividere il mondo, separare le mele marcie per preservare il resto del cesto, non è nostro compito (Cfr. Mt 13,49).
In effetti ci è chiesto di essere figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45).
L’assemblea cristiana (la nostra Eucarestia) non è fatta per i giusti, al banchetto non sono chiamati solo i buoni, anche i cattivi che accettando l’invito hanno un posto all’evento nuziale.
La chiamata e la risposta alle nozze apre l’orizzonte della vita di comunione, sempre in divenire e mai conclusa. La condivisione della mensa è ingresso nella dinamica dell’alleanza con Dio in una circolazione di amore con lui e con il prossimo che sospinge alla carità, stimola la conversione.
Quando il re entra per vedere i commensali, si accorge di uno che non ha l’abito di nozze, quando poi non risponde alla sua domanda, ordina ai suoi servitori di legarlo e gettarlo fuori: è una immagine di estrema durezza che sottolinea la gravità di chi si è introdotto ma si sente sufficiente a se stesso e non è disponibile all’incontro, a riconoscersi negli altri, a condividere la stessa festa. Il gesto è dimostrativo: chi non ha indossato l’abito nuziale è legato mani e piedi, impedito a fare ed agire e si trova fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
La comunione esige di svestirsi dell’uomo vecchio e rivestire il nuovo (Cfr. Col 3,9-10). La semplice presenza nella sala del banchetto non basta per partecipare, l’appartenenza alla Chiesa non è un diritto da far valere comunque.
Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo (Gal 3,27); forse è questo l’abito che ci viene richiesto, il battesimo per la vita: l’umile e costante immersione nell’amore e nella misericordia di Dio, l’accoglienza del dono della vita che il Figlio ci offre gratuitamente.
Questa immersione ci rende compagne e compagni (cum-panis) capaci di mangiare lo stesso pane, di accoglierci reciprocamente, ognuno con le proprie diversità, ma con la stessa volontà di condivisione della fatica e della gioia, liberi di fare festa con chi tutto ci ha donato.