Come vivere questa Parola?
Il racconto dell’ascensione di Gesù al cielo chiude il vangelo di Luca e apre il libro degli atti degli Apostoli. In questo modo lo stesso Luca ce ne offre due versioni diverse, dimostrando come la narrazione, soprattutto biblica, non sia preoccupata dell’esattezza e coerenza storica, ma sia comunicazione di un’esperienza che significa la vita, che apre alle possibili risposte ai “perché?” che abitano le nostre menti e i nostri cuori.
In entrambe le narrazioni, come in quelle meno esplicite di Marco, Matteo e Giovanni, questo è però sempre, il momento del distacco, l’inizio dell’assenza di Gesù. Gesù è sottratto ai loro occhi. Termina la visibilità dell’incarnazione, la possibilità di toccare con mano Dio. Gli occhi dei discepoli devono abituarsi ad un’altra luce, ad altre evidenze. Devono imparare a vedere quello che non si vede. Il vuoto lasciato da Gesù è doloroso: la sua presenza amabile, rassicurante, volendo severa ed esigente, ma talmente potente da togliere ogni indugio, non c’è più. Quel vuoto è colmato dalla presenza dello Spirito, presenza non fisica, faticosamente riconoscibile, ma efficace che spinge il gruppo dei fedelissimi a realizzare il mandato che si associava alla sottrazione. Infatti, Gesù, lasciando i suoi, li aveva confermati adulti nella fede e per questo inviati ad annunciare la buona notizia a Gerusalemme, in Giudea e Samaria e fino agli estremi confini della terra.
La voce di un profeta del nostro tempo
In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile.
Simone Weil