Le sorti del mondo si decidono dentro una famiglia: un padre, una madre, un figlio, il nodo della vita, il perno del futuro. Le cose decisive – oggi come allora – accadono dentro le relazioni, cuore a cuore, nel quotidiano coraggio di una, di tante, di infinite creature innamorate e generose che sanno “prendere con sé” la vita d’altri. Giuseppe è il modello di ogni credente, in cui la fede e gli affetti sono forza l’uno per l’altro. Erode invia soldati, Dio manda un sogno. Un granello di sogno caduto dentro gli ingranaggi duri della storia basta a modificarne il corso.
«Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto».
Un Dio che fugge nella notte! Perché l’angelo comanda di fuggire, senza garantire un futuro, senza segnare la strada e la data del ritorno? Perché Dio non salva dall’esilio, ma nell’esilio; non ti evita il deserto ma è forza dentro il deserto, non protegge dalla notte ma nella notte. Per tre volte Giuseppe sogna. Ogni volta un annuncio parziale, una profezia di breve respiro. Eppure per partire non chiede di aver tutto chiaro, di vedere l’orizzonte completo, ma solo «tanta luce quanto basta al primo passo» (H. Newman), tanta forza quanta ne serve per la prima notte. A Giuseppe basta un Dio che intreccia il suo respiro con quello dei tre fuggiaschi per sapere che il viaggio va verso casa, anche se passa per il lontano Egitto; che è un’avventura di pericoli, di strade, di rifugi e di sogni, ma che c’è un filo rosso il cui capo è saldo nella mano di Dio. Giuseppe rappresenta tutti i giusti della terra, uomini e donne che, prendendo su di sé vite d’altri, vivono l’amore senza contare fatiche e paure; tutti quelli che senza proclami e senza ricompense, in silenzio, fanno ciò che devono fare; tutti coloro il cui «compito supremo nel mondo è custodire delle vite con la propria vita» (E. Canetti). E così fanno: concreti e insieme sognatori, inermi eppure più forti di ogni faraone.