Salmo (117/116)
Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode.
Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre.
Il salmo 117 (116) è un inno in miniatura e, come in tutti i salmi di lode, non c’è posto per ripiegamenti su se stessi né per richieste personali. Ogni sorta di “interesse” è, cioè, allontanato dalla mente e tutto lo spazio viene dato a Dio, di cui il salmista canta la grandezza e la gloria sperimentata dal suo popolo. Come tutti gli inni, infatti, anche questo nasce come un Amen della comunità in risposta a quel Dio che si è rivelato suo Signore e, soprattutto, suo liberatore. In altre parole, questo piccolo inno totalmente centrato su Dio, ne canta soprattutto la benevola e benefica vicinanza. Nel Salmo risalta, infatti, l’universalismo del Dio d’Israele che, pur avendo scelto quella mediazione storica, non ha certo perso la memoria degli altri popoli. Il salmista, infatti, sa che tutte le nazioni sono state benedette in Abramo (cf. Gn 12,3) da un Dio che non può e non vuole venir meno a questa sua promessa. Il parallelismo più importante, infatti, è quello tra “amore” (chesed) e “fedeltà” (’emet) del secondo versetto. Il primo significato di ’emet è verità, ma qui si tratta di una verità dimostrata con i fatti, Dio è stato e continua a stare al fianco del suo popolo e, quindi, è fedele. È ciò che vuol dire il salmista quando, appunto, proclama che l’amore del Signore è grande e la sua fedeltà per sempre. È ciò che Israele vorrebbe che comprendessero anche gli altri popoli in modo da volgersi a Lui, come nell’esortazione del primo versetto: “Lodate il Signore tutte le nazioni, popoli tutti fategli omaggio”.
Per la preghiera del cristiano
Facendo proprio questo invito alla lode, il cristiano, come è più ancora dell’antico salmista, si sente missionario, portatore, cioè, presso tutte le genti, della manifestazione più tangibile dell’amore di Dio. Il minuscolo salmo 117 è, infatti, un invito rivolto a tutti gli uomini che, anche quando non lo sanno, sono chiamati a sentirsi fratelli attorno alla mensa del Padre di Gesù che, morendo per tutti, ne ha mostrato la misericordia. Il binomio chesed-’emet (bontà e fedeltà) fa sempre riferimento all’Alleanza che Dio ha voluto, liberamente e di propria iniziativa, stipulare – attraverso Abramo – con tutti i popoli della terra. In quanto buono, Dio promette (stipula una Alleanza) e, in quanto fedele, mantiene le promesse che, a partire da Abramo, culminano tutte in Gesù. In Lui, infatti, la forte bontà di Dio si estende a tutti e rimane in eterno. Per questo, tutti, sono invitati alla lode che, in fondo, non è altro che la forma più elevata della gratitudine. Fa bene, dire spesso questa giaculatoria che riporta all’essenziale tutte le nostre preghiere. Che cosa ci ha insegnato, infatti, lo stesso Gesù, se non che Dio, Padre di tutti, ha così tanto amato il mondo da inviare suo Figlio e di andare a dire in tutto il mondo questa buona notizia? Sì, in Cristo, l’amore di Dio per noi è veramente forte e la sua fedeltà dura veramente per sempre. Noi ci sforzeremo di corrispondere a questo amore, ma anche quando questo non accadrà, Lui, il Padre, non cesserà di attenderci a braccia aperte. Perché il suo amore è forte (gabar) e la sua fedeltà (’emet) è per sempre.