v. 18: Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?».
È un momento di intimità: un luogo appartato, lo spazio della preghiera insieme alla fraternità, il tempo giusto per dare delle risposte. Chi sono io? È una domanda che frequentemente ci viene rivolta dal Signore. Per noi, così attenti al giudizio che gli altri hanno su di noi, è naturale che anche Gesù si chieda cosa gli altri pensino di lui. Si tratta di valutare il risultato della predicazione di Gesù, ma le domande riguardano direttamente lui, la sua identità. Non chiede: che cosa pensa la gente del Regno che ho annunciato? Ma: che cosa pensa la gente di me? Il ministero di Gesù non appare semplicemente qualcosa che Gesù compie, ma un’esperienza legata profondamente alla sua persona fino a identificarsi praticamente con lui. È davanti a Gesù che gli uomini sono chiamati a prendere posizione. E non si tratta di prendere una posizione dottrinale, di definire speculativamente l’identità di Gesù. Si tratta piuttosto di compromettere se stessi con Gesù, d’impegnare la propria vita nella missione di lui. La gente, i discepoli … quanto sono disposti a legarsi a Gesù?
v. 20: Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?».
Ora la domanda è rivolta a noi che abbiamo la grazia di vivere nella sua prossimità, di condividere tutti i momenti del giorno. Gesù non pone questa domanda ai discepoli singolarmente, ma la pone ai discepoli come chiesa. Il “voi” è ecclesiale e la risposta a questa domanda fa la chiesa. «Il Cristo di Dio». È la risposta di Pietro ed è esatta, perché non può un discepolo ignorare la vera identità del suo Maestro. Con essa, infatti, vuole esprimere la fede della chiesa. Sempre più, nel momento in cui siamo chiamati alla fede, dobbiamo considerare come nella fede di uno c’è la fede di tutti. Non siamo mai persone la cui fede ha valenza strettamente personale. Ciascuno deve poter rispondere a nome di tutti.